venerdì 28 settembre 2012

Recitare con il corpo


Siamo soliti datare l'origine del teatro al V° secolo, facendola coincidere quello greco classico di Atene e l'origine della drammaturgia: con la codificazione, cioè, di taluni aspetti linguistici, culturali ed espressivi che hanno in realtà radici ben più antiche. Tutto parte dal corpo: la parola ne è suo naturale completamento ed evoluzione.

Per esempio, gli esquimesi solevano celebrare la fine della notte polare allestendo un vero e proprio dramma, in cui un narratore e un gruppo di donne interagivano tra parole e danze. Il rito aveva lo scopo di ringraziare gli dèi per la stagione futura, ed era fondamentale che fossero le donne a danzare, in quanto detentrici della propria fertilità e simbolo di quella della Madre Terra.

Presso i Nauhatl, popolo purtroppo ormai estinto dell'America Centrale, era uso ringraziare il ritorno della primavera con una vera e propria danza simbolica: si piantava un palo per terra, in cima al quale veniva allestita un'immagine del dio della fertilità, mentre alla sua ombra si svolgeva una danza frenetica, condotta da sette uomini vestiti da donna.

pigmei del Gabon, invece, solevano mettere in scena i fatti salienti della propria vita per rinnovare il legame tra passato e presente, dimostrando di avere un grande rispetto per la storia del proprio popolo, che non andava così perduta, ma rivissuta periodicamente.

Bororo del Brasile, invece, si esibivano in due quadriglie, completamente vestiti di foglie, e si correvano incontro in una danza frenetica; era permesso anche alle donne indossare le maschere che simboleggiavano il potere, in quanto donatrici della Vita. Questo aspetto matriarcale è scomparso quando il fine ultimo dell'espressione corporea non è stato più quello di ringraziare gli dèi e propiziare la fertilità dei campi, ma si è spostato alla rappresentazione: il Kabuki giapponese, riservato a soli uomini che interpretavano anche parti femminili, ne è un chiaro esempio.

Pertanto, danza, gestualità, mimica sono ancora parte fondante della recitazione, e per motivi che vanno al di là della mera comunicatività.

Ne sanno qualcosa gli allievi della maestra Noris, che si esprimono quasi esclusivamente con il movimento del corpo, e nel farlo riportano in vita qualcosa di antico, sacro, che fa parte della nostra storia da quando siamo sulla terra.

(fonte: elapsus.it)

sabato 22 settembre 2012

Oggi è sabato, domani non si va a scuola...

... Quindi ci concediamo una pausa "faceta" e vi proponiamo un pezzone che sta avendo un discreto successo nelle lande di Facebook, ovvero...

POCAHONTAS e RED BULL
alias
ROBERTA e ILARIA

nella parodia di "CALL ME MAYBE" di Carly Rae Jepsen, ossia il brano che sta spopolando ovunque, in rete, in discoteca, nelle lezioni di Video Dance di Mara, etc etc etc.

BUON FINE SETTIMANA A TUTTI!!! :)

mercoledì 19 settembre 2012

Il Musical: "A Chorus Line"


Siamo allo Shubert Theatre, ed è il 25 luglio 1975. Michael Bennet mette in scena il musical tratto dal suo soggetto, sotto la sua regia. Metateatro, ossia "teatro che racconta il teatro",  in scena va la messa in scena stessa.
Ed è il trionfo.





"A Chorus Line" è concepito sulla base di alcuni workshop registrati insieme a diversi ballerini, di cui 8 entrarono realmente a far parte del cast originale. Bennet ha un'intuizione che farà la sua fortuna: perché non portare sul palco la fatica, il sacrificio, la tensione di un percorso che viene tracciato passo per passo, fallimento per fallimento, trionfo per trionfo dei ballerini oggetto della selezione? Soltanto 8 di loro diverranno la "chorus line" dello spettacolo, tutti gli altri verranno scartati, ma ognuno di loro vivrà in modo diverso l'esperienza; e questo pretesto narrativo permetterà a Bennett di raccontare le vite di ognuno di loro, come si sono accostati alla danza, quali sono i loro obiettivi, quanta fatica hanno fatto e quanta hanno intenzione di farne, pur di arrivare. "A Chorus Line" è soprattutto la messa in scena di un amore: quello per la danza, che accomuna tutti i protagonisti, e che è il solo, vero collante di tutto il gruppo. Il brano "What I did for Love" parla esattamente di questo: quanto  siamo disposti a dare, per amore di quest'arte? Nella trasposizione cinematografica la canzone viene trasformata in una dichiarazione d'amore, ma nel musical il significato delle parole è chiaro:




"Kiss today goodbye,
The sweetness and the sorrow.
Wish me luck, the same to you.But I can't regretWhat I did for love, what I did for love.Look my eyes are dry.The gift was ours to borrow.It's as if we always knew,And I won't forget what I did for love,What I did for love"

Il risarcimento di tanta fatica è il palcoscenico: i ballerini, uno ad uno, esauriranno la tensione nella selezione che il regista, scomparendo dal palco, eseguirà come un deus ex machina, mettendo il pubblico in mezzo a sé stesso e ai ballerini, rendendolo partecipe del processo; chi entrerà a far parte della chorus line avrà trovato l'agognata ricompensa, gli esclusi dovranno uscire di scena.

Ma il finale vero e proprio riscatterà anche i perdenti, con un indimenticabile ensable in cui non esisteranno più né vincitori né vinti, ma tutti gli artisti si esibiranno in "One", inondati di glitter e di luci, quelle stesse luci da cui tutto ha avuto inizio.

Godiamocelo in questo video con nientemeno che Mikhail Baryshnikov e Liza Minnelli.


martedì 11 settembre 2012

L'eredità del signor Bianchi

Gino Bianchi era un marinaio.
Un marinaio che ha vissuto la seconda guerra mondiale, un uomo che, come tanti altri, è partito per combattere lontano dal suo paese, e non si è lasciato abbattere dalle brutture del conflitto.
Si può pensare, se non si è vissuta, che durante una guerra niente abbia più un senso. E invece è proprio quando è difficile restare vivi che si apprezza ancora di più la vita e le cose del mondo, l'umanità che non ha colpa, la cultura di ogni singolo paese. Così, il Signor Bianchi, Italiano - che era già campione di Savate quando partì - nella colonia giapponese di Tien Sing, in Cina, imparò il Ju Jitsu.
Quel che non si è ancora detto, è che il Signor Bianchi era anche genovese: quando tornò nella nostra bella città, moltissimo c'era da fare. La guerra era finita, sì, ma l'Italia era rimasta profondamente ferita. I nostri concittadini e connazionali avevano un'altra guerra da affrontare, quella con la vita, questa volta. Bisognava rimboccarsi le maniche, ricostruire, fare in modo di restituire ai propri figli il futuro che era stato loro rubato.
E così, ciascuno, nel suo piccolo, iniziò a lavorare sodo, a mettersi in gioco. Per uno come il signor Bianchi, che la guerra e la morte le aveva viste, toccate, annusate, sentite urlare, quasi sembrò un nuovo inizio tutta quella fatica che lo aspettava, un regalo della vita.
Aprì così, in un quadro drammatico di dopoguerra, la sua prima scuola di Ju Jitsu, con pochi, pochissimi allievi. La sua palestra crebbe, piano piano, grazie ad allievi affascinati da quest'arte marziale, tanto che presto dovette trasferirne la sede in Via Famagosta, per stare più comodo, e lì rimase.
Il Signor Bianchi, che ormai era diventato il Maestro Bianchi, ebbe una grande fortuna, non soltanto perché aveva superato una terribile guerra, non soltanto perché era riuscito a risollevarsi con quanto, coraggiosamente, aveva imparato in quei giorni bui. Ebbe una grande fortuna, perché quando scomparve, i suoi allievi vollero razionalizzare il suo metodo, e ne fecero regola. Ogni anno, A.I.J.J., per commemorare il Maestro Bianchi, indice a Genova un torneo che porta il suo nome: fu questo umile signore che fece del Ju Jitsu quel che conosciamo oggi, quel che vedete fare ai vostri figli quando vengono da noi, quello che avete a vostra volta fatto quando eravate piccoli, e quel che fa ancora oggi il nostro Maestro Fazio, con rigore, impegno, passione e rispetto per quest'arte, e per il Signor Bianchi, che ce l'ha portata a casa.

sabato 8 settembre 2012

Un violoncello e un passo di danza

Il bello di questo lavoro è che ogni giorno capitano cose che, se me ne stessi chiusa in un ufficio grigio a compilare moduli e bolle, non potrei mai vivere con questa ispirazione.

Nei giorni scorsi Cristiano Fabbri, Antonio Caporilli, Rocco Colonnetta e Serena Loprevite hanno provato a Spaziodanza2 i balletti preparati per il Festival Corpi Urbani (che stasera vedrà in programma a Villa Bombrini  Attorno al Cuore, con Cristiano Fabbri e la compagnia Koinè di cui fanno parte Rocco e Serena: vi consiglio di non perderlo, l'appuntamento è alle 17), e a un certo punto, è arrivato lui - bellissimo, elegante - irradiando una grande ispirazione in tutti: il Violoncello (con la V maiuscola). Il Maestro Giovanni Ricciardi, che era lì per accompagnare Caporilli e Fabbri, ci ha raccontato che la sua storia risale al 1800. Chi lo avrà suonato, attraverso quante vite sarà passato? Quali storie avrà narrato con le sue corde, chi avrà consolato con la sua musica, quanti amori avrà visto nascere, o morire?
Gli strumenti musicali sono sì, strumenti, e per definizione mediano tra l'artista e chi fruisce del prodotto artistico; ma ne sono anche parte integrante, tanto che è facile che agli occhi dei musicisti assumano quasi tratti umani. Io stessa mi sono ritrovata più volte a guardare il mio pianoforte con affetto e gratitudine; se ci pensate, è una cosa da pazzi. Eppure provo davvero un sentimento nei confronti di quei tasti bianchi e neri che, nei momenti più allegri e in quelli più bui, mi hanno aiutata a liberarmi delle nuvole nere, o a tradurre in musica una felicità che è impossibile altrimenti esprimere a parole.

Così, alla fine, i "Corpi Urbani" sono aumentati di uno: anche Mr. Violoncello ha preso parte alla magia del balletto, danzando a suo modo insieme a Cristiano, Antonio, Serena e Rocco, sotto il tocco sapiente del Suo Maestro.

martedì 4 settembre 2012

Prime novità per l'A.S. 2012-2013

la nostra nuova, magica Newsletter!
A Giugno vi avevo anticipato che ci sarebbe stata una rivoluzione completa di tutti i nostri servizi, senza togliervi nulla, ovviamente, ma arricchendo ancora di più la nostra offerta; questo non solo per quanto riguarda i corsi e l'iscrizione annuale (a proposito: visto i nuovi metodi di pagamento che abbiamo pensato per voi? Mensile, Bimestrale, Trimestrale, per famiglie, su più attività... avete solo l'imbarazzo della scelta!), ma anche e soprattutto per il "socio". Non abbiamo mai pensato all'Associazione in altro modo se non a un gruppo unito di persone unite da una grande passione per lo sport e per l'arte (mi ripeto, ma è perché ciò rappresenta una grande verità e sta alla base della nostra filosofia da sempre). Per questo motivo abbiamo attivato una pagina facebook che, oltre a fornire aggiornamenti in tempo reale, offre uno spazio di divertimento e condivisione.

Per chi è troppo di fretta per consultare facebook perdendosi nella timeline, c'è comunque Twitter: tutte le notizie compaiono sotto forma di comodi links. Basta un clic, e non dovete sprecare un secondo!

Ultima, ma NON ULTIMA, la bellissima NEWSLETTER (clicca per visualizzare la prima!): colorata, divisa in sezioni d'interesse, condensata per non annoiarvi, vi terrà compagnia e come facebook vi aggiornerà sulle ultime notizie e sulle curiosità che capiteranno durante l'anno!
Se non vi è arrivata, niente paura: QUI c'è il link che porta alla pagina d'iscrizione!

Bellissima, non trovate? Ok ok... lo so... l'ho fatta io, per forza mi piace! Ma vi ho mai delusi? :)))

Ci sentiamo presto su queste (tante) pagine!!!

La vostra pazzerella Segretaria di Spaziodanza2

Erika